- Fonte:
- Giani Stuparich, Scipio Slataper, Firenze, Soc. an. ed. "La Voce", 1922 (Quaderni della Voce, 56).
«Trieste, se è passata nella storia, lo deve ai suoi piroscafi, ai suoi moli, ai suoi sacchi di caffè. [...]
E come mancò d'uomini, così naturalmente mancò di centri e di correnti intellettuali. [...]
Quando la giovinezza ambiziosa di Scipio Slataper urgeva per entrare fattore attivo nella vita cittadina, in sul primo decennio del secolo ventesimo, le cose non erano profondamente mutate.
C'era sì un più largo contatto con la vita spirituale d'Italia, ma tutto di superficie. [...] Una «università popolare » di nome, di fatto un'impresa di conferenzieri, [...] in fondo servì a far circolare l'aria nel chiuso; aria che purtroppo i triestini pigliarono tutta per pura, mentre in gran parte erano zaffate di stantio. Vivacchiava una «Minerva» ristretta e prolissa, e un tantino infingarda società di filiazione arcadica. Una biblioteca, non poverissima di volumi, ma molto disordinata e di locali miserabili. Nessuna sala di lettura. Ma in compenso e di questa e della biblioteca, una libreria modello.»
(Giani Stuparich, Scipio Slataper, p. 11-12).
«Anch'egli [Scipio Slataper] studia; non si lascia condurre la mano dal facile sentimento a scrivere frasi campate in aria, come faceva allora la maggior parte degli scrittori di cose irredentistiche. Durante le vacanze universitarie che passa a Trieste, egli consulta molti opuscoli e giornali della Sezione patria della biblioteca civica; e quello che non trova a Trieste, si fa mandare a Firenze dalla Biblioteca della Camera dei Deputati di Roma, che è ricca di pubblicazioni sul problema adriatico.»
(ivi, p. 212-213)