- Fonte:
- Giani Stuparich, Cuore adolescente; Trieste nei miei ricordi, Roma, Editori riuniti, 1984.
«Con gli anni la mia relazione d'amicizia con Quarantotti s'è andata facendo piú calda e piú intima. [...] E, piú tardi, negli anni tristissimi, ricordo l'intimità semplice, poco loquace ma viva, delle ore passate con lui nella stanza di direzione della Biblioteca civica, in quell'altra serenità che dà la compagnia dei libri. (Quarantotti, cresciuto nella tradizione istriana fondamentalmente umanistica, era molto adatto a fare il direttore d'una biblioteca, per la sua intelligenza moderna e il suo amore ugualmente distribuito fra la dignità d'un antico codice e l'attualità d'un'edizione d'oggi; e Trieste aveva trovato in lui il suo bibliotecario, ma per quel senso malcerto con cui essa s'orienta nel campo della cultura, non ha saputo mantenerselo.)».
(Giani Stuparich, Trieste nei miei ricordi, p. 195. La prima edizione dell'opera uscì nel 1948 da Garzanti).
«Dall'autunno del 1942 non insegnavo piú, ero stato aggregato, dietro mia richiesta, alla Soprintendenza ai monumenti e alle gallerie. [...]
Fra libri d'arte e cari compagni d'ufficio, cominciando dal soprintendente, l'architetto [Fausto] Franco, nobiluomo non solo di sangue, passavo le mattine alleggerendo i miei crucci. Avevo una bella stanza, la stanza della biblioteca tutta per me.
[...]
Dalla Soprintendenza mi recavo qualche volta alla vicina Biblioteca civica. Quarantotti m'accoglieva nella sua stanza di direzione. A un tavolinetto presso la sua scrivania sfogliavo memorie, e diari di scrittori garibaldini e prendevo appunti, mentre Pierantonio guidava e sorvegliava dalla sua poltrona l'andamento della biblioteca, chiamando con un colpo di campanello qualche impiegato o inserviente, rispondendo al telefono e col telefono mettendosi in comunicazione con gli altri uffici del Municipio. Tutto con una calma quasi ieratica, con un sorriso mite sulla bocca, e i movimenti e la parlata lenti e dignitosi.
Ogni tanto levava dal cassetto un suo manoscritto: stava rivedendo l'Onda dell'incrociatore, torturandone la stesura con correzioni e varianti; o era la volta dei Nostri simili, di cui egli preparava una nuova edizione, sotto l'incontentabile lima. I nostri sguardi s'incontravano e spesso, sospendendo il lavoro, discorrevamo insieme, della nostra Trieste, dell'avvenire e dell'opera nostra, che ci stava a cuore. L'atmosfera in quella stanza ovattata di silenzio, fra i ritratti degli arcadi Sonziaci alle pareti, il grande antico mappamondo, gli armadi e i manoscritti di Domenico Rossetti, era la piú confacente ai nostri spiriti nella tristezza e nella gravità dell'ora.»
(ivi, p. 217-219).