- Fonte:
- Don Giuseppe De Luca: ricordi e testimonianze, a cura di Mario Picchi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1998.
«Conobbi don Giuseppe De Luca a Roma, vent’anni fa o poco più, durante la guerra. Avrebbe potuto essere non dirò una conoscenza occasionale e senza seguito, perché non era uomo che uscisse di mente a chi una volta si fosse imbattuto in lui, ma per più motivi, una conoscenza difficile, forse aspra. Era, già nel primo aspetto e discorso, uno straordinario uomo certo, ma anche e in ispecie uno straordinario prete. L’orma dello spirito creatore era in lui evidente subito; ma pareva a occhi estranei impressa una cera mista di venature demoniache. [...]
A Roma aveva fatto e continuava a fare esperienza d’una filologia che per il suo oggetto e per il metodo era diversa da quella del sistema accademico, da quella che ivi stesso gli avevano insegnato maestri non dimenticabili, Nicola Festa e Vittorio Rossi. Don Giuseppe era frequentatore assiduo della Biblioteca Vaticana. Ivi era, a paragone di ogni altra biblioteca e accademia e scuola, un diverso mondo. Imperava allora sulla Biblioteca il Cardinale, quello che per tutti noi era senza più il Cardinale, Mercati. In lui, vecchio, d’una vecchiezza prepotente, quasi emblematica e fuori del tempo, lontanamente alto come un astro se anche ci passasse accanto rannuvolato nella sua umile veste nera, e per lui negli Studi e Testi, e via via risalendo, nel sistema antico di una formidabile erudizione ecclesiastica, non era difficile scoprire la durezza e lo splendore del diamante. Era questione di durezza, di un grado diverso nella scala. [...]
A Roma, fra la Biblioteca Vaticana e gli Studi generali dei grandi Ordini, don Giuseppe De Luca vide subito e bene che non sulla aristocratica fragilità di questa o quella filologia poteva essere fondata la sua impresa, ma sulla forza massiccia della erudizione. Egli stesso, come era nato scrittore, così era nato per la ricerca erudita. In questa era stimolato e assistito dalla stessa avidità impaziente che gli impediva di essere propriamente un filologo. [...]
Tante volte mi sono chiesto come e dove, in una vita così stipata d’altre cure e impegni, don Giuseppe De Luca trovasse il tempo della lettura e della ricerca. Tante, quante, per una immediata risposta, mi accadde di vederlo fermo e intento, lui così irrequieto, al suo posto nella sala dei manoscritti della Vaticana. Tante, quante, in questi anni in cui ci trovammo a vivere lontani, mi giungevano le sue richieste e segnalazioni, sempre urgenti, sempre diritte allo scopo, di questo o quel documento in cui si era imbattuto, e che rientrasse nell’ambito delle mie proprie ricerche. Erano per lo più documenti di una rarità estrema.»
(Carlo Dionisotti, Il filologo e l’erudito, in Don Giuseppe De Luca: ricordi e testimonianze, pp. 143-167: 143-151; il volume di ricordi su De Luca ebbe una prima edizione nel 1963 presso i tipi della Morcelliana, per poi essere ristampato nel 1998 in anastatica con le Edizioni di storia e letteratura)