- Fonte:
- Bianca Guidetti Serra, Compagne: testimonianze di partecipazione politica femminile, Torino, Einaudi, 1977.
«Mi hanno arrestata al mese di luglio, nel ’32. Mi hanno mandata prima a Torino poi a Milano e da Milano a Bologna. [...]
Sono stata condannata al Tribunale speciale a Roma. Però nel frattempo è venuta la famosa amnistia del decennale, allora hanno amnistiato tutti. Ho fatto otto mesi.
Amnistiata sono tornata a Torino; a Torino non mi hanno liberata, mi hanno denunciata alla Commissione del confino; sono stata ancora cinque mesi in carcere e poi mi hanno dato cinque anni di confino.
A Torino sono stata come si può stare in carcere. [...]
Mio marito allora era [in carcere] a Civitavecchia...
A Torino in carcere mi hanno tenuta isolata. [...]
Poi lí ho conosciuto anche la famosa Vercesi, Rosina Vercesi. La vedevo all’aria e siccome passava i libri all’«indice» a me interessava andare con lei, perché io non riuscivo ad avere niente da leggere, e invece lei aveva tutti i libri in cella... Cosí sono riuscita a leggere, ma erano tutti quei libri che regalavano le patrone di San Vincenzo… C’era quasi niente.
Beh, ho trovato una Storia universale d’Italia, qualche cosa cosí...
Poi sono stata mandata al confino. Era nel mese di... marzo, aprile del ’33. Sono andata al confino e là è stata tutta un’altra cosa.
Sono andata a Ponza, l’isola dove in quel periodo portavano proprio tutti i confinati. [...]
Lí al confino c’era la faccenda che, per ogni pretesto, la direzione emanava dei decreti che ti proibiva questo, ti proibiva quello, per toglierci quelle poche libertà…
Noi avevamo una biblioteca, che però aveva questo handicap, che era sita nel camerone degli uomini. E cosí nell’ora di apertura, poteva capitare che trovavi magari un compagno in pigiama, in mutande... Allora han trovato quella scusa per impedirci l’entrata. Come reazione... Noi avevamo un «libretto di permanenza» si chiamava, con tutte le regole di come dovevamo comportarci: non si poteva andare nei caffè, o andare ma restare in piedi, camminare in piú di tre, non potevi far questo non potevi far quello... Quando ti ritirano questo libretto non potevi piú uscire di casa.
Allora tutte le donne, forse è stata anche una cosa non ben organizzata, tutte d’accordo abbiamo consegnato il libretto per protesta e ci siamo ritirate nei nostri «appartamenti».
Ci hanno dato tre giorni di punizione. Non potevamo uscire. Dopo ci hanno riconsegnato quel libretto; noi ci siamo ripresentate davanti alla biblioteca per entrare, tutte insieme. Ci han di nuovo ritirato quell’affare... Insomma due o tre volte cosí, poi ti fanno il processo. [...]
Ci hanno fatto il processo a Napoli, però non ci hanno condannato, ci hanno «trasferite» come punizione.»
(Lucia Bianciotto in Scarpone (Pivella-Piera), [Testimonianza], in Bianca Guidetti Serra, Compagne: testimonianze di partecipazione politica femminile, vol. 2, p. 327-330).