- Fonte:
- Franco Venturi, Settecento riformatore. I: Da Muratori a Beccaria, 1730-1764, Torino, Einaudi, 1969.
«Gli ostacoli che si frappongono alla ricerca non sono soltanto teorici ma pratici. Quelli che trova di fronte chi studia, ad esempio, il Settecento sono di natura ben concreta: le nostre biblioteche, i nostri archivi, i nostri centri e strumenti di lavoro. [...] Siamo l'unico paese civile a non possedere una biblioteca nazionale, una biblioteca, intendo, in cui ci si possa ragionevolmente attendere di trovare qualsiasi libro e foglio apparso in ogni angolo del proprio paese, dall'invenzione della stampa ad oggi. Le nostre biblioteche, anche quando si chiamano nazionali, riflettono tuttora la secolare suddivisione degli stati e staterelli italiani, ai quali si è sovrapposta una stratificazione unitaria, che ha cento anni soltanto e che non ha modificato nel fondo le ripartizioni regionali anteriori. Difficile trovare una gazzetta palermitana settecentesca a Firenze (del resto, in certi casi, non la troveremo neanche a Palermo), o un foglio di Pesaro a Torino, o un pamphlet napoletano a Milano e cosí seguitando. E pensare che con i mezzi posti a disposizione dalla tecnica moderna e con un po' di buona volontà da parte delle biblioteche degli antichi stati italiani non sarebbe poi troppo difficile costituire, poniamo a Roma, una biblioteca in cui si trovino tutti gli stampati italiani, in originale o in riproduzione. Ma anche se la ricerca è locale [...], anche se si cercano a Milano cose milanesi e a Napoli cose napoletane, gli ostacoli, le difficoltà, le impossibilità sono innumeri, e sormontabili soltanto con un dispendio grande di energia e di pazienza. Inutile specificare: tutti conosciamo gli orari, i cataloghi delle nostre biblioteche. Quanto ai nostri archivi essi sono, salvo eccezioni, tra i meno inventariati d'Europa. [...] Ogni volta, in conclusione, che si esce da una nostra biblioteca o da un nostro archivio nasce spontanea la considerazione che l'Italia è un paese cosí ricco di documenti storici da non aver neppur bisogno di misurare, ordinare, catalogare tanta dovizia. Evidentemente tra noi le terre di Clio rendono benissimo anche a cultura estensiva e non val la pena di irrigarle e di riorganizzarle. [...] Fuor di metafora, biblioteche ed archivi come ne esistono da noi, sono talvolta di altrettanto difficile accesso quanto la biblioteca di Babilonia [sic] di Borges e sono insieme depositi nei quali le tracce del passato possono piú facilmente obliterarsi, rovinarsi e scomparire.
Non ignoro, naturalmente, che queste nostre biblioteche e questi nostri archivi sono, generalmente, degli strumenti inadeguati, ma affidati alle mani di persone di gran buona volontà, le quali sanno, quasi sempre, spingere la cortesia e la competenza loro fino al punto di creare attorno agli studiosi un'atmosfera di eccezione, che permette di superare gli ostacoli e di lavorare fruttuosamente. Come la monarchia merovingia era un despotismo corretto dal regicidio, cosí i nostri strumenti di lavoro costituiscono troppo spesso degli ostacoli corretti dal privilegio. Il rituale e piú che dovuto ringraziamento che desidero qui rivolgere, in tutta sincerità, a coloro che mi hanno aiutato nelle mie ricerche è accompagnato cosí dall'augurio che nelle mani dei bibliotecari e degli archivisti nostri vengano finalmente posti mezzi e strumenti che permettan di rendere accessibili a tutti, con ben diversi orari e con strutture organizzative completamente trasformate, i luoghi dove si conservano le testimonianze delle idee, delle lotte e delle speranze delle generazioni passate.»
(Franco Venturi, Prefazione, Torino novembre 1968, in Settecento riformatore. I: Da Muratori a Beccaria, 1730-1764, p. XVI-XVIII).