Rossi (1932-1933)

Fonte:
Ernesto Rossi, Elogio della galera: lettere 1930-1943, prefazione di Alessandro Galante Garrone, introduzione e cura di Gaetano Pecora, Roma, Il mondo 3, 1997.

«Non so perché ancora ti meravigli che vengan cancellate delle righe nelle mie lettere. [...] So che potrei fare una lettera con sole definizioni del vocabolario da esser censurata da cima a fondo, e che mi basterebbe riportare dei brani dagli stessi libri della biblioteca del carcere per esser "deferito" al Tribunale Speciale.»
(Ernesto Rossi, lettera alla madre dal carcere di Piacenza – come le successive –, 22 luglio 1932, p. 139. Rossi era stato trasferito dal carcere di Pallanza a quello di Piacenza nel novembre 1931 e due anni dopo fu trasferito di nuovo a Roma).

«Ho dovuto portare molti dei miei libri, che ancora avrei desiderato rileggere, in magazzino; e pare che poco a poco ci verranno tolti tutti, meno qualche vocabolario, qualche grammatica e pochi altri libri di studio. Al resto dovrebbe provvedere la biblioteca del carcere, che verrebbe rifornita con i libri di storia e di scienza che più desideriamo. Per mio conto, non mi faccio molte illusioni, perché i libri costan cari e so che alla burocrazia sembreranno somme spaventose anche qualche centinaio di lire all'anno per ogni carcere. Speriamo. [...] Non mi è possibile far commenti a tutto questo, e consiglio anche a te di non farne. Contentiamoci di assumere anche questo come un indice della situazione.»
(lettera alla madre, 5 agosto 1932, p. 147).

«La restrizione per i libri e per i quaderni, che ci eran necessari per studiare, ci ha colpiti tutti in modo molto sensibile, ma ci facciamo coraggio e speriamo che vengano presto delle disposizioni meno restrittive.
Sono andato quest'oggi ad udienza, ma il ragioniere, in assenza del direttore, non ha potuto consigliarci altro che d'attendere. Per ora non ci vengon più consegnate neppure le riviste e i giornali illustrati di cui abbiamo pagato l'abbonamento. Dovremmo limitarci alla lettura della biblioteca del carcere.
La biblioteca di questo carcere è una della migliori e ne vanno assai orgogliosi, perché contiene 2.300 opere; un quarto di esse, però, son libri di religione, eredità della biblioteca di qualche vecchio seminario; un altro quarto son libri scientifici e di storia anteriori all'unificazione d'Italia; nella parte restante c'è una ventina di opere di studio interessanti, e poi romanzi, moltissimi polizieschi e d'avventure, e traduzioni nell'edizioni economiche da tre lire. Il direttore ci disse che per i nuovi acquisti avremmo potuto manifestare i nostri desideri, ma tutto lascia credere che rimarranno desideri.»
(lettera alla madre, 12 agosto 1932, p. 151).

«Purtroppo, mi resta anche ben poco d'interessante da leggere nella biblioteca del carcere, e ci son tante restrizioni per l'acquisto dei libri attraverso l'amministrazione che in tre mesi ho potuto acquistarne solo un paio. Dei libri mandati ultimamente dal Ministero alcuni ne conoscevo (Fustel de Coulanges, Sombart) e gli altri son quasi tutti di filosofìa di Gentile o di gentiliani; ho provato anche questa settimana ad assaggiarne qualcuno, ma non riesco a mandarli giù. Digerirei più facilmente l'olio di ricino. Adesso ho con me l'Antologia critica degli scrittori d'Italia del De Sanctis, a cura di L. Russo, in cui sono svolti più ampiamente gli stessi argomenti che già conosco per averli letti sulla Storia della letteratura dello stesso De Sanctis. È un bellissimo lavoro. Ma poi vorrei leggere qualcosa che corrispondesse di più alla mia forma mentis, ed al genere di studi che prediligo: economia, storia e diritto pubblico.»
(lettera alla madre, 9 dicembre 1932, p. 160).

«Non m'interessa che tu m'indichi altri libri di astronomia popolare. Ho letto volentieri quello del Fabre, tanto per avere qualche idea più chiara sull'argomento; ma non ho voglia di leggerne altri, almeno per ora.
Dopo il Fabre, Mario si è messo a leggere tutti i libri di storia naturale che ha trovato sul catalogo della biblioteca. Ce ne sono diversi, vecchiotti anzi che no, ma scritti bene.»
(lettera alla moglie Ada dal carcere di Piacenza, 6 ottobre 1933, p. 218. Mario era un detenuto comunista, romagnolo, non identificato. L'opera di Jean Henri Fabre, Il cielo, era stata acquistata da Rossi poco tempo prima).

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