Immagine e poesia
Laboratorio condotto da Fernanda Pessolano
Hanno partecipato
Alunni scuola media Istituto Comprensivo Largo San Pio V - Biblioteca Casa del Parco
I ragazzi leggono e poi scelgono individualmente le poesie seleionate. Le frasi, i versi e le parole delle poesie per loro significative suggeriscono la scelta di foto in b/n, messe a disposizione. Con smalti, pastelli, pennarelli gessi le foto vengono modificate, colorate e tagliate. Insieme si raccontano le emozioni e le associazioni.
Immagini e poesie
Poesie
Da "Migrazioni" di autori vari, ed. 66thand2nd, 2016
Una traccia di attesa
E a un tratto sotto i portici della piazza
m’imbatto in un ragazzo nero, dal viso
scoperto, e anche le gambe in parte, le braccia.
Il lastrico di marmo colorato e spezzettato.
E’ alto, diventa ancora più alto
quando si avvicina, e poi scompare dalla vista.
Ma il ferro battuto della vecchia ringhiera
delle scale intravista attraverso la stessa
finestra che sale di piano in piano, la cassa
che suona del discount, i cortili con la fontana
in fondo che gocciola appena, gli anelli
d’argento con una pietra azzurra e una rosa,
le palme che si rinchiudono a ombrello,
ricordano il suo passaggio sulla piazza.
Ha impresso sulla facciata delle case
una traccia di attesa e una di separazione.
Anche la sera, quando la piazza si svuota,
e diventa pura architettura di portici
e di lanterne ripetute, si possono sentire
i suoi passi in scarpe bianche, che lasciano
una traccia di attesa e una di separazione.
Annelisa Alleva
A trace of expectation
And suddenly under the portions of the pizza
I bump pinto a black boy, his face
open, his legs partly exposed, his arms too.
A marble column, chipped and patchily coloured.
He’s tall, and looks taller
when he is close, then he vanishes from sight.
But the cast iron of the old railings
on the stairwell, glimpsed through the same
window climbing from floor to floor, the cash
register ringing in the discount stores, the courtryards with
their dribbling foundains, the silver rings,
mounted with one blue stone and one pink,
the palm trees that shut like umbrellas,
they all recall his passage through the piazza.
He has imprinted on the facades of the buildings,
a trace of expectation ad of separation.
Even in the evening, when the piazza is empty,
and becomes pure portico architecture
with its sequence of lamps, you can hear
his steps in white shoes which leave behind
a trace of expectation and of separation.
Children
Nella mia fiaba c’è un lupo
Nella tua fiaba c’è un leone
In una fiaba c’è una foca bianca
E in un'altra un drago di giada
Ma se io la racconto a te
E tu la canti per me
In fondo si assomigliano
Poi c’è una storia scritta dai grandi
Dove c’è un uomo che non ride mai
Che prende i libri della fiabe
Li straccia e li butta nel fuoco
E non vuole che io legga le tue parole
Né che tu legga le mie
Anzi vuole alzare un muro
Perché noi non possiamo parlarci
Allora io racconto più forte e tu canti più forte
E il leone e il lupo
E la foca bianca e il drago di giada
Si incontrano in un giardino
E nessuno venga a dirci
Che non possono stare insieme
Stefano Benni
Children
In my story there’s a wolf
In your story there’s a lion
In one story there’s a white seal
In another, a jade dragon
Buti f I tell you mine
And you sing me yours
They are pretty much the same
Then there’s a story written by grown-ups
About a man who never laughs
Who grabs all the story books
Tear them up and throws them in the fire
And he doesn’t want me to read your words
Or you to read mine
What he wants is to build a barrier
So we can’t speak
I shout my story louder and you sing yours louder
And the lion and the wolf
And the white seal and the jade dragon
Go and meet in the park
And don’t let anyone tell us
They can’t hang out together
Vanno vengono vengono vanno
Vanno vengono vengono vanno
avanzano indietreggiando
vengono vanno vanno vengono
sommuovono il suolo
e sotto i piedi è cupo il rimbombo –
Vengono dai tropici e dall’equatore
da deserti savane e foreste
alture e pianure
in cerca di postura -
vengono da guerre genocidi e carestie
da terremoti tirannie e maremoti
e in fuga vanno per terre straniere –
Morti di fame si trascinano dove c’è un pezzo di pane
un morso di companatico -
topi che cercano il granaio
formiconi a caccia di pagliuzze
s’incarrettano per mare in gusci di noce
scivolano e scivolano in acqua
e affogano
e niente vi trema
per voi sono morti che si aggiungono ad altri morti –
Jolanda Insana
They go they come they come they go
They go they come they come they go
they get ahead they get behind
they come they go they go they come
they turn over the soil
and under their feet the echo is hollow –
They come from the tropics and the equator
from deserts, savannas and forests
highlands and valleys
in search of pasture -
they come from wars, genocides and famines
from earthquakes, tyrannies and tidal waves
and in their flight they go to foreign lands –
Walking dead they drag themselves to a piece of bread
a bite of salami -
mice seeking out a granary
overgrown ants hunting for straw
they set out to sea in walnut shells
they slip slide into the water
and drown
and nothing happens
for you they’re just deaths to add to the dead -
Saremo noi
Saremo noi
con uno straccio nero sulla testa
contro una tramontana d’oltremare
e con le stesse mani povere spaccate
sulla pelle lisa delle nocche
con i vecchi ridotti giù in ginocchio
dentro la vita sacra unica loro
che li maltratta come già una morte
saremo noi senza più niente addosso
che la sorte d’essere al mondo
congiunti da un miracolo specioso
che follemente ha benedetto tutti
saremo noi, proprio uguali a tutti,
a coloro che vengono di fronte
con i bambini in spalla
con la fame
con le facce sfigurate come i nostri
saremo noi a dire avanti
vi riconosciamo
siamo chi siete, venite,
apriteci le porte.
Silvia Bre
It will be us
I twill be us
with a black rag on our head
against the north wind from overseas,
and with the same poor hands cracked
on the worn skin of knuckles,
our old people down on their knees
into their life, the only one, the sacred,
which is already mistreating them like death
it twill be us, with nothing left to wear
except the fate of being in the world
united by a specious miracle
that has rashly blessed everyone
it will be us, just the same as all,
the same as those who are coming along
with children on their shoulders
hungry
with face sas disfigured as ours,
i twill be us who will say come forward
we recognise you
we are who you are, come,
open to us the doors.
Il canto muto della distanza
C’è una stanza. E’ arredata di ombre
qualche azione. Forse un nome. Ha un odore.
Moltissimo è perduto o sopravvive per frammenti:
vi si aggrappa come fossero presenti. Ogni giorno
si domanda quanto manca per tornare.
E’ in prestito, ancora oggi, dopo anni.
Forse qui dovrà morire. E in quale terra andrà il suo corpo?
Riportarlo dove è nato, dove noi siamo gli assenti
o fargli un torto e seppellirlo dove noi siamo i presenti?
Questa storia è poca cosa, è vicenda personale.
Quante ossa, indossate dalla terra, sono ora fuori posto?
Chi è tornato porta avanti una memoria, parla, almeno:
ha qualcosa che appartiene. Non è ospite, né intruso.
E i figli? Quelli nati nell’altrove? C’è qualcuno
a cui non pesa: altra vita, passaporto, poi gli amori.
Altri aspettano irrisolti e ogni bacio è una frontiera.
Fabiano Alborghetti
The silent song of distance
There’s a room. It is furnished with shadows,
some activity. Perhaps a name. A smell.
So many things are lost or survive in pieces:
he clings to them as if they were still there. Everyday
he wonders how long before he can go back.
He’s still on loan, after all these years.
This may be where he’ll have to die. And where will his body go?
Take it back to where he was born, where we’re the ones who are absent
or go against his will and bury him here where we are present?
This is just one story, a personal experience.
How many bones, dressed in earth, are now in the wrong place?
Those who have gone back home build a memory, have a voice at least:
own something. Are neither guests nor intruders.
And what about the children? The ones born in other places? There’s someone
who doesn’t bear the burden: another life, another passport, other loves.
Yet others wait unsettled and every kiss is a new frontier.
Non rispondono all’appello
Non rispondono all’appello, sono
dispersi ai bordi della terra, hanno
il segreto della linea che trema, sono usciti
dalle vene dell’essere amato e ora
potete vederli, di sera, verso le tangenziali
chiedere silenzio con un dito sulle labbra
sentono un lungo bacio senza luce,
un mutismo che si mescola al sangue,
escono dalla stanza nello spavento delle strade
con un volto invisibile e uno straziato,
nessuna impronta li segnala
ci aspettano lì, con piede nel vuoto.
Milo De Angelis
They do not answer to their names
They do not answer to their names, they
are scattered round the rim of the earth, they
emerge from the veins of being loved and now
you can see them, at dusk, towards the ring-roads
with a finger to their lips begging for silence.
They hear a long kiss in the dark,
muteness mingling with blood,
they come out of their rooms into the terror of the street
one face invisible, the other drawn,
no prints ientify them
they attend us there, with one foot already in the void.
Gli innumerevoli
Siamo gli innumerevoli, raddoppio a ogni casa di scacchiera,
lastrichiamo di corpi il vostro mare per camminarci sopra.
Non potete contarci, se contati, aumentiamo,
figli dell’orizzonte che ci rovescia a sacco.
Siamo venuti scalzi, invece delle suole,
senza sentire spine, pietre, punte di scorpione.
Nessuna polizia può farci prepotenza
più di quanto già siamo stati offesi.
Faremo i servi, i figli che non fate,
nostre vite saranno i vostri libri d’avventura.
Portiamo Omero e Dante, il cielo e il pellegrino,
l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso.
Da qualunque distanza arriveremo, a milioni di passi,
chi va a piedi non può essere fermato.
Voi siete il collo, la cima pettinata del pianeta,
noi siamo i piedi e vi reggiamo il peso.
Spaliamo la neve, battiamo i tappeti, raccogliamo il pomodoro e l’insulto,
noi siamo i piedi e conosciamo il suolo passo a passo.
Di noi non vi potete sbarazzare. Uno venuto prima, a nome nostro ha detto:
“Va bene, muoio, ma in tre giorni resuscito e ritorno”.
Erri De Luca
The uncountable
We, the uncountable,
doubling each checkerboard square,
your sea we pave with bodies,
so many that you’d walk on it.
You cannot count us:
if you try, we multiply,
we children of his horizon,
washing us up, spilling us out.
We came on bare feet,
rather than hard soles,
yet we felt no thorns, nor stones,
nor stings from scorpions.
No police can abuse us worse
than the offenses we’ve already suffered.
We’ll serve as your servants,
the children you never had,
our lives will be your adventure tales.
We carry Homer and Dante,
the blind man and the pilgrim,
the smell that you’ve lost
the equality you’ve repressed.
No matter the distance,
millions of paces,
we will come,
those on foot cannot be stopped.
You are the stiff collar,
the groomed peaks of the planet,
we are the feet,
and we bear your weight.
We shovel the snow, beat you rugs,
collect your tomatoes and insults,
we are the feet,
and we know every step of the ground.
You cannot be rid of us.
One who came before, in our name, has said:
“Yes, I’ll die, yet after three days I will rise again and return”.