Scuola 725
"Don Roberto, nella sua scuola minuscola alloggiata dentro una baracca di tre metri per tre, illuminata da candele e con una stufa boccheggiante, ospitava i figli dei "baraccati", come venivano chiamati in maniera dispregiativa, perchè facessero i compiti e ripetessero le lezioni. Ma soprattutto perchè potessero incontrarsi e parlare, discutere e capire. Insegnava loro a leggere il giornale, gli parlava della guerra in Vietnam e di quanto accadeva nel mondo. Li invitava a raccontare la loro storia scrivendo e disegnando, e compilava con loro una rivista che loro stessi battevano a macchina, ciclostilavano e poi distribuivano. Con questo metodo, avevano preparato persino un libro di testo alternativo, scritto da loro stessi, con un linguaggio che li rappresentasse e argomenti vicini ai loro interessi. Un manuale alternativo, intitolato "Non tacere", che suscitò la curiosità di molti intellettuali."
Elena Stancanelli - Repubblica, 31 ottobre 2010
“Abitavamo nelle baracche dell’Acquedotto Felice, un tugurio di miseria dove viveva un’umanità che le istituzioni e i cittadini avevano lasciato fuori dalle mura della città.
Eravamo ragazzi e ragazze: mentre alcuni frequentavano la scuola pubblica, altri erano già sul mercato del lavoro e, espropriati della loro età e della scuola, facevano l’esperienza dello sfruttamento. La città era assente. Noi, spinti dai genitori, frequentavamo la scuola, ma molti, classificati ‘caratteriali’, finivano nelle classi ‘differenziali’; tutti, a causa delle condizioni in cui vivevamo, giornalmente subivamo offese ed espliciti ‘inviti’ a lasciare la scuola.
Ma un giorno accadde un fatto strano che segnò una svolta nella nostra vita, in una baracca che misurava 3 x 3 nasceva la "Scuola 725", la scuola del nostro riscatto.
Un giorno ci venne incontro un prete con la valigia. Noi lo guardammo perplessi e lui guardò con sospetto il pallone col quale stavamo giocando. Chiese come ci chiamassimo e ci disse che in una baracca avrebbe aperto per noi una scuola. Le nostre perplessità aumentarono. Pensammo a un doposcuola per aiutarci a svolgere i compiti che ci assegnava la scuola del mattino.
Ma avvenne un fatto cui nessuno di noi pensava. Alle cinque del pomeriggio quando, finiti i compiti, ci preparavamo a "rimbaraccare", il prete fece accendere dai suoi collaboratori alcune candele in più e noi pensammo che ci avrebbe fatto dire il rosario. Invece aprì un libro: Americani e Vietcong. Da quel momento, in quella baracca 3x3, che era stata di Rita, nasceva la "Scuola 725.
Nella "725" sera dopo sera, a lume di candela, tra inevitabili distrazioni, nacque la "Lettera al Sindaco". Successivamente da sotto quegli archi malfamati, che i nostri genitori ribattezzarono "infelici", nacque la "Lettera ai cristiani di Roma" firmata da 13 preti. Allora non ce ne rendevamo conto, ma il "grido" fu talmente forte che le istituzioni ne furono colpite e dovettero mettere allo studio un processo di rinnovamento che segnò la fine di un’epoca. In quelle due lettere chiedevamo cambiamenti radicali, cambiamenti che toccavano l’anima dei problemi che vi si esponevano.”
Da ‘La seconda lettera al sindaco per continuare a ‘Non tacere’, 2007