La buona tavola
print this pageLa cucina della nobiltà fiorentina, e in particolare quella della corte medicea, doveva aver già raggiunto livelli elevati se Caterina de’ Medici, andando in sposa ad Enrico II di Francia, salpò dal porto di Livorno nel 1533 accompagnata da cuochi e pasticceri, introdusse nella cucina francese tante pietanze nuove e, addirittura, l’uso della forchetta.
Oggi possiamo immaginare quali potevano essere le pietanze che componevano i pasti granducali attraverso le opere che compongono il Museo della Natura Morta, collocato al secondo piano della Villa di Poggio a Caiano.
Le ville, luoghi di villeggiatura e di sosta dei granduchi durante gli spostamenti attraverso il Granducato o durante le celebri battute di caccia, vengono adattati alle necessità di una corte numerosa ed estremamente raffinata, tanto che ogni villa era dotata di un proprio guardaroba completo che evitava lo spostamento dai palazzi urbani di mobili e suppellettili.
Fu Cosimo II, assieme alla moglie Maria Maddalena d’Austria, nel 1614, a valorizzare l’aspetto modano dei pasti in compagnia della corte, commissionando all’ingegnere granducale Gherardo Mechini la realizzazione di un nuovo grande spazio destinanto alla preparazione dei cibi.
Proprio a Poggio a Caiano le cosiddette cucine “segrete” conservano ancora intatto il fascino degli ambienti domestici del passato, avendo conservato tutti gli elementi caratterizzanti le grandi cucine di corte, come il grande camino, i fornelli a carbone, i forni per il pane, le dispense per la conservazione delle provviste.
Le nuove cucine furono collocate in un unica struttura esterna e così composta: un lungo corridoio, il passo della vivanda, collegava la villa alla cucina “comune”, utilizzata per le preparazioni destinate alla corte e la cucina “segreta” che provvedeva alla mensa privata del Granduca. Fra le due cucine si apriva un lungo cortile con loggiato utile per tutte le attività che era preferibile svolgere all’aperto, ad esempio la macellazione, e a questo si affiancava un piccolo giardino di erbe aromatiche e officinali, in modo da poter disporre agevolmente degli ingredienti necessari per le attività culinarie.
Ai sistemi improntati all’autosufficienza di cui le ville disponevano, per fornire cibo e conservarlo, si aggiungeva la caccia, attività molto amata da Cosimo I, il quale, istituì nel 1550 le “bandite”. In questo modo, precludendo per legge a chiunque l’attività di caccia e di pesca nel territorio, il granduca si riservava il diritto dell’attività venatoria e dei proventi che questa comporta. In alcune Ville il giardino diventa addirittura “barco”, una grande riserva di caccia recinta da un muro lungo chilometri.