don Primo Mazzolari (13 gennaio 1890 - 12 aprile 1959)
print this pageErnesto Mazzolari (don Primo) nacque a Santa Maria del Boschetto (CR) nel 1890; nel 1902 entrò nel Seminario vescovile di Cremona. Come riportano le pagine del suo Diario, egli maturò fin da giovane alcune idee sulla Chiesa e sulla società che avrebbe mantenuto negli anni della maturità: la fiducia accordata alla modernità in antitesi alla visione che di essa aveva dato il mondo cattolico intransigente, il suo patriottismo di ispirazione risorgimentale e democratica «l'avvenire è della democrazia: [...] dobbiamo essere noi cristiani, che abbiamo la vera democrazia di Cristo» scrisse nel 1906. Per l'affermazione della propria libertà di coscienza scrisse nel 1907: «Io amo la Chiesa e il Pontefice, ma la mia devozione e il mio amore non distruggono la mia coscienza di cristiano».
Il 24 agosto 1912 venne ordinato presbitero a Verolanuova (BS); il 1º settembre dello stesso anno venne nominato curato a Spinadesco (CR) e il 22 maggio 1913 a Santa Maria del Boschetto sua parrocchia di nascita.
Favorevole all'interventismo democratico "la patria è di tutti e ha bisogno di tutti" scriveva nel 1915, allo scoppio della guerra si arruolò come volontario nel Regio Esercito e fu assegnato dal 7 dicembre alla 4ª Compagnia di Sanità; fu caporale dal 30 giugno 1917 e nominato cappellano militare il 14 marzo 1918 col grado di Tenente, prima negli ospedali militari di Genova e di Cremona, poi in Francia, al seguito delle truppe italiane che occupavano le zone abbandonate dai tedeschi. Rientrato in Italia nel 1919 fu inviato in Alta Slesia prima di essere definitivamente congedato nel 1920. Ricevette l'onorificenza di Cavaliere della Corona d’Italia. Il 31 dicembre 1921 venne nominato parroco a Cicognara, frazione di Viadana, dove rimase fino al 10 luglio 1932.
Rinnegò assai presto l’esperienza militare, complice anche la morte del fratello Giuseppe (Peppino) a San Floriano del Collio (GO). "Ho schifo (...) di tutto ciò che è militare", scrive, già durante il conflitto, all’amico don Guido Astori. "Cresce la disonestà, cresce la corruzione, divengono degli stracci di uomini questi poveri ragazzi e quando torneranno domani potranno essere tutto fuorché bravi cittadini". E nel 1928, dieci anni dopo la fine del conflitto, riconsiderò il suo giovanile entusiasmo interventista: "Anch’io (è una confessione che vi debbo per sincerità) nel 1914 consideravo, per ragioni ideali di giustizia, che si dovesse intervenire nel conflitto europeo. Ero un ragazzo di 24 anni, piena la mente di libri e di idee: sdegnato per le infamie commesse nel Belgio [dalle truppe tedesche, ndr], urtato dall’orgoglio e dalla prepotenza tedesca, credente nelle buone disposizioni di coloro che dirigevano la politica degli Alleati, i quali parevano essere diventati i paladini di tutte le libertà e di tutte le giustizie, contro tutte le oppressioni e le tirannie, anch’io, ripeto, ho peccato contro lo spirito del Vangelo e della Chiesa". Nel 1952, poi, ne "La Pieve sull’argine", sembrava rivolgersi proprio alla “Chiesa militare”: "Se invece di dirci che ci sono guerre giuste e guerre ingiuste, i nostri teologi ci avessero insegnato che non si deve ammazzare per nessuna ragione, che la strage è inutile sempre, e ci avessero formati ad una opposizione cristiana chiara, precisa e audace, invece di partire per il fronte saremmo discesi sulle piazze". Infine, nel 1955, pubblicò Tu non uccidere – in forma anonima, per sfuggire alla censura ecclesiastica, che interverrà solo nel 1958, ordinando il ritiro del libro già alla seconda edizione – in cui criticava la dottrina della guerra giusta ed esaltava la nonviolenza.