Velletri, 1869-1870. Stagione teatrale di Carnevale

Archivio di Stato di Roma, Legazione apostolica di Velletri, b. 452, “440/1794, Spettacoli e feste, Velletri, Affari Generali”

estremi cronologici
24 ottobre 1869 - 3 gennaio 1870
descrizione fisica
36 carte sciolte

Centotre cittadini veliterni presentano al Consiglio municipale istanza, per far agire il Teatro per la stagione con il giusto anticipo, scontenti dell’organizzazione troppo prossima alle date di esibizione che impone ogni anno spese inutili ed eccessive e la “(…) scelta di artifici men che mediocri (…)”. Il Consiglio, dopo aver tentato di utilizzare i fondi del deposito di garanzia dell’appalto dei Dazi, obbligati però per quell’anno in favore del Governo e della Provincia, rifiuta l’istanza e delibera di non far agire il Teatro per quella stagione.

trascrizione

*Da verbale consiliare 24 ottobre 1869:

“(…) Agisca, si agisca, ma proporzionatamente alla entità ed ai mezzi del paese, e alla capacità del tetro, sia pur malgrado quei pochissimi filo tragici i quali, mentre non si contentano di quel che si può fare, sono poi arcicontenti di quel che si fa male, cioè si canta male, si suona peggio e si rappresenta in modo ridicolo, quei pochissimi filo tragici che, senza arrossire, videro marciare sul nostro palcoscenico i cavalieri bianchi di Ottorino Visconti e quelli rossi di Sacramoro [riferimento all’opera “Marco Visconti”], preceduti dai militari strumenti degli arcieri e seguiti dai giudici del torneo, e dagli araldi, e vi vedrebbero rappresentare L’ultimo giorno di Pompei, ed il supplizio della Vestale, senza cercar di nascondersi per vergogna sotto le ruine del tempio di Iside, e dentro la sepoltura della delinquente nel campo scellerato!!! Noi dobbiamo contentarci degli spartiti comici o semiseri nella esecuzione e rappresentazione dei quali possiamo sperare di non farci burlare, e siamo sicuri risparmiare un buon migliaio di scudi. Infatti, non scudi duecento per la proprietà dell’opera, potendoci almeno nei primi anni giovare dei tesori di Rossini e Donizetti (…); non trecento e più scudi a quelle meschine chiamate il Coro delle Donne, le quali vengono a farci pietà e non piacere. (...) la generalità del paese prenderebbe più piacere in quegli spartiti di musica brillante e seria, bellissima sempre, i quali potrebbero eseguirsi passabilmente (bene non abbiamo da sperarlo) ed interamente che non nelle tragedie liriche ridotte a schertri mutilati come si è costretti di fare per adattarle al nostro letto di Procuste (...)A Roma stessa il Teatro Argentina (che è forse qualche cosa di più del nostro!) non agisce sempre coll’opera comica o semiseria? (...) Del resto non saprei immaginare come il teatro dovesse essere deserto se, piuttosto che la tragedia, si rappresentasse la commedia lirica. Le signore non diserterebbero certamente, perché elleno raggiungono previamente il loro scopo quando spectatum ornatae veniunt spectentur ut ipsae; la elegante gioventù mascolina no, perché essa va a teatro per tutt’altro che per quello che si fa sul palcoscenico (…) spartiti comici e di mezzo carattere (…) massime quelli di Rossini e Donizetti, che fanno sempre la risorsa degli impresari, come io ho potuto apprendere dal giornale di Milano “La Fama” che spesso mi capita nelle mani (…)”.

sitografia

Sistema informativo dell’Archivio di Stato di Roma

Relazioni