Introduzione

                                                                                                                                                                                                                                                                                                            


A 200 anni dalla morte di Napoleone, l’Archivio di Stato di Milano propone una mostra dedicata alle ricadute archivistiche di quel «turbine memorando piombato dalle Alpi», come lo avrebbe definito molti anni dopo il direttore degli archivi governativi lombardi Giuseppe Viglezzi.

Mentre l’Italia era investita dall’impetuosa avanzata delle truppe comandate dal generale Bonaparte, nel chiuso degli archivi prendeva il via una battaglia più silenziosa, ma destinata a produrre effetti duraturi nel tempo. Nel giro di un quarto di secolo, dal 1796 al 1821, molti archivi italiani subirono razzie, trasferimenti improvvisi, accorpamenti e smembramenti, frutto delle alterne vicende belliche che segnarono l’età napoleonica e i primi anni della Restaurazione.

La mostra segue quattro filoni narrativi intrecciati tra loro, ciascuno contraddistinto da un colore.

Il contesto storico che fa da sfondo alle vicende archivistiche, indicato con il colore giallo e introdotto attraverso una cronologia essenziale, è illustrato da Maria Pia Bortolotti con una selezione di documenti dall’alto significato simbolico: intestazioni finemente decorate per esaltare l’avvio di una nuova era di uguaglianza e libertà, progetti di monumenti e stampe dedicati all’esaltazione e alla caduta dell’imperatore, sigilli e molti altri pezzi rari tratti dai fondi più preziosi del nostro patrimonio.

Marco Lanzini ci guida alla scoperta delle vicende interne dell’Archivio, nella sezione di colore rosso, mostrandoci tutte le contraddizioni di un periodo nel quale l’istituto, non ancora affrancato dalla sua antica veste di Archivio segreto, tentò di aprirsi a un nuovo pubblico di eruditi e studiosi.

Allo stesso Lanzini è stato affidato il percorso verde, dedicato alle peripezie subite dalla documentazione nel corso di quella travagliata epoca. A emergere è una Milano crocevia di un continuo flusso di casse ricolme di documenti, protagonisti di un ideale tour tra Venezia, Parigi, Vienna e molte altre città italiane ed europee, le cui tappe furono scandite dai trionfi e dalle sconfitte francesi.

La nostra storia non poteva che concludersi con l’esilio del suo protagonista assoluto sulla sperduta isola di Sant’Elena. Nell’ultima stanza dell’esposizione, di colore azzurro, Carmela Santoro ci racconta il curioso destino di tre ciocche di capelli di Napoleone, sequestrate nel 1817 a Natale Santini, suo collaboratore giunto in Italia con il singolare “cimelio”. I capelli entrarono dunque a far parte del fascicolo archivistico relativo alle indagini sul Santini, arrivando sino a noi all’interno del fondo Presidenza di governo. Un destino assai beffardo per Napoleone, idealmente “archiviato” proprio tra quelle stesse carte di cui egli era stato per quasi quindici anni padrone assoluto.



Il titolo della mostra richiama quello della prolusione
Gli Archivi nelle sommosse e nelle guerre letta il 29 novembre 1914 nell’ambito della scuola di paleografia, diplomatica e archivistica annessa all’Archivio di Stato di Milano dall'archivista Giovanni Vittani, che dell’istituto milanese sarebbe divenuto direttore dal 1920 al 1938.

A pochi mesi dallo scoppio della Prima guerra mondiale, il tema delle conseguenze di conflitti bellici e rivolte popolari sul patrimonio archivistico era evidentemente di grande attualità e gli archivi milanesi ne erano la testimonianza, in ragione delle numerose vicissitudine subite in più di un'epoca, non ultima proprio l'età napoleonica.