Palazzo Statella di Spaccaforno – Valguarnera di Niscemi
print this pageLa famiglia Valguarnera possedeva numerosi terreni e immobili, a testimonianza della sua notevole ricchezza, rafforzata nel corso dei secoli. Nel solo territorio palermitano, i Principi erano proprietari di importanti palazzi, quali:
- Villa Valguarnera, presso Bagheria;
- Palazzo Valguanera di Niscemi, presso il Comune di Giardinello;
- Villa Niscemi ai Colli, presso l’ex-tenuta “Favorita” di Palermo, attuale sede del sindaco della città;
- Palazzo Valguarnera-Ganci, nel rione palermitano della Kalsa, in piazza Croce dei Vespri, location per il famoso ballo del film “Il Gattopardo” di Luchino Visconti;
- Palazzo Statella di Spaccaforno – Valguarnera di Niscemi.
Quest’ultimo edificio, oggetto del nostro approfondimento, sorge all’interno del rione La Loggia, tra il vicolo Pantelleria a Sud e la via Castello a Nord, sul lato orientale della piazza Cavalieri di Malta, storicamente denominata “di Valverde”.
La toponomastica storica proviene dalla denominazione del quartiere in cui sorgevano il monastero e la chiesa di Santa Maria di Valverde. La chiesa, situata di fronte al nostro palazzo, ha mantenuto l’attuale denominazione, mentre il monastero è stato distrutto dai bombardamenti del 1943.
♦ Ubicazione dei palazzi di famiglia nel centro strorico di Palermo
Origini e trasformazioni
La prima edificazione del palazzo si deve a don Berlingerio Requersenz, esponente dei principi di Pantelleria, a metà del XVI secolo. Egli fece erigere il palazzo di fronte al monastero di Santa Maria di Valverde, nel piano omonimo. L’edificio cinquecentesco si presentava come un blocco edilizio con distribuzione centrale, servito da un cortile quadrangolare. Su un lato dell’edificio fu realizzato un portico, sviluppato su cinque campate, sorrette da colonne in stile ionico, con archi a tutto sesto al piano terra e ribassati al piano primo. Della costruzione originale rimangono il suddetto loggiato rinascimentale del cortile interno, ben conservato, e alcune volte a crociera lunettata dell’ala meridionale.
Attraverso diversi lasciti testamentari, il palazzo passò prima alla famiglia Mastrilli e poi alla famiglia Statella, all’inizio del ‘700, con Francesco Statella Rau, principe di Sabuci e marchese di Spaccaforno (attuale Ispica). Grazie a quest’ultimo fu avviata la prima importante riconfigurazione architettonica del palazzo, di chiaro gusto barocco. L’architetto Giacomo Amato ne ricevette l’incarico. Egli procedette con l’ampliamento sul lato meridionale, fino al vicolo Pantelleria. Tale operazione donò all’edificio quattro nuove fornici su Piazza Valverde. L’ampliamento fu ideato secondo una giacitura diversa rispetto all’allineamento preesistente, conferendo al prospetto principale un andamento concavo e regalando un aspetto scenografico alla piazza antistante. Venne altresì realizzato il nuovo portale d’ingresso ad arco, disegnato dallo stesso Amato, inquadrato da due colonne doriche su alti piedistalli, che sorreggono il balcone sovrastante, il tutto realizzato in marmo grigio di Billiemi.
Tra la metà e la fine del ‘700, vennero eseguite ulteriori opere di ristrutturazione, per volontà del nuovo proprietario, Antonio Statella e Grifeo, principe di Cassaro, secondo un linguaggio di stampo neoclassico, rispondente al gusto del tempo. Mediante questi lavori la facies esterna fu trasformata: si rivestì di intonaco la facciata, si realizzarono sulle paraste decori a stucco, tardo settecenteschi, e vennero sostituite le mensole lapidee dei balconi con dei gattoni in ferro battuto. Sul lato di via Castello fu inoltre accorpato un palazzotto seicentesco, del quale rimane l’originario arco d’ingresso bugnato, ancora oggi visibile.
L’ultimo erede della famiglia Statella fu Francesco Maria Statella, figlio di Antonio Statella e Grifeo. Verso la fine dell’800, l’edificio venne acquistato da Giuseppe Valguarnera e Ruffo, principe di Niscemi, il quale vi abitò fino al momento in cui, agli inizi del ‘900, la residenza di famiglia fu trasferita presso la Villa della piana dei Colli.
Nel dopoguerra la famiglia Valguarnera di Niscemi vendette la proprietà, che fu frazionata, con ulteriori trasformazioni interne, per ospitare da una parte l’abitazione della famiglia Baccarella e dall’altra una scuola di proprietà dei Sacco.
Nella seconda metà del ‘900 il degrado in cui versava il palazzo ha spinto l’Amministrazione comunale ad attivare un intervento di restauro, all’interno di un programma più ampio di riqualificazione del quartiere Castello-San Pietro. Il progetto inerente è stato eseguito tra il 1990 e il 2000.
Oggi il palazzo Spaccaforno-Niscemi ospita una scuola media superiore di primo grado.
I luoghi del cibo
Dell’impianto risalente alla configurazione barocca, progettato dall’ architetto Amato, si è mantenuto ben poco. Alcune informazioni, utili a rintracciare la distribuzione dell’edificio, sono state reperite attraverso documenti archivistici del fondo di famiglia custodito presso l’Archivio di Stato di Palermo. Tali documenti sono riconducibili al periodo compreso tra la fine dell’800 e il primo trentennio del ‘900, epoca nella quale, come già detto, il palazzo fu di proprietà della famiglia Valguarnera di Niscemi.
Nell’Atto di vendita fatto dal Marchese Spaccaforno al principe di Niscemi[33], è presente un “inventario dei corpi esistenti” nel palazzo. Questo è strutturato come un elenco delle stanze, delle finiture e dei serramenti presenti, con indicazioni relative al loro stato di conservazione.
Nel testo si fa riferimento alla “camera a mangiare”: dal documento non è possibile desumere in quale piano fosse collocata, ma si specifica che in essa vi erano “tre balconi con vetrate”, indicativi di un ambiente luminoso, e un “cammino di marmo bianco”. Tali caratteristiche è presumibile connotassero la sala da pranzo come uno spazio di rappresentanza.
Nello stesso testo si fa, poi, riferimento ad una “cucina delle donne”. Anche qui non è indicata la localizzazione dell’ambiente all’interno della distribuzione della casa. Si specifica tuttavia che la cucina era attrezzata di piano cottura con “due fornacelli con loro gradette”. La cucina delle donne, poiché fornita di soli due fuochi utili a riscaldare le pietanze prima che fossero servite ai commensali, poteva costituire pertanto una sorta di cucina di appoggio e non la vera e propria cucina padronale, impiegata per la preparazione dei cibi.
Tale considerazione è rafforzata dalla presenza di “una cucina e di un laboratorio di dolci, fornito di forno in muratura”, “ai corpi bassi” (quindi al pianterreno), come descritto in un altro documento d’archivio del 1924[34]. Tali ambienti erano forniti di “ascensore delle vivande con gabbia in legname”, per trasferire ai piani superiori i cibi pronti. Ancora nel documento è scritto che “nei detti corpi bassi interni esiste un magazzino per riporvi generi alimentari, costruito in legname”. Si potrebbe infatti arguire che, in genere, il ripostiglio era localizzato al pianterreno per favorire lo stoccaggio delle provviste, trasportate tramite carri.
I lavori eseguiti nel palazzo tra giugno 1900 e novembre 1901, documentati da un computo metrico[35] redatto dai tecnici incaricati, comprendono alcuni interventi effettuati per rimodernare la cucina. Nel documento si fa riferimento ad una stanza del cuciniere, attigua alla cucina, e alla realizzazione della nuova canna fumaria e alla continuazione della stessa “a livello del piano nobile nella stanza sovrastante la cucina”. Questo può, ancora una volta, suggerirci che la cucina principale era collocata al piano terra, in una zona domestica prossima al magazzino e ad altri ambienti di servizio. Attraverso la medesima documentazione ,inoltre, è possibile dedurre che la cucina fosse attrezzata di forno e di stufa con fornello in mattoni refrattari.
Bibliografia essenziale
- BOSCARINO S., Sicilia Barocca: architettura e città. Officina, Roma 1986.
- CEDRINI R., TORTORICI DI MONTAPERTO G., Intra moenia. Il repertorio delle dimore nobili e notabili nella Sicilia del XVIII secolo. Grafill, Palermo 2008.
- PIAZZA S., Architettura e nobiltà. I palazzi del settecento a Palermo. L’Epos 2005.
- SCIBILIA F., Il progetto di Giacomo Amato per il palazzo Statella dei marchesi di Spaccaforno a Palermo, in “Lexicon. Storie e Architettura in Sicilia e nel Mediterraneo, n.16”, Ed. Caracol 2013, pp. 15-28.
- SOMMARIVA G., Palazzi nobiliari di Palermo. D. Flaccovio, Palermo 2004.
- TUSA M. S., La cultura di Giacomo Amato e la sua attività nel Settecento, in “L'architettura del Settecento in Sicilia”, a cura di Giuffrè M., Palermo 1997.