Il voto del 1946

A cura di Carmela Santoro

Nel 1944, mentre la Penisola Italiana era ancora divisa in due - Repubblica sociale al nord e Regno del sud -, re Umberto di Savoia emanò da Napoli un decreto legge in base al quale, dopo la liberazione, il popolo italiano avrebbe dovuto scegliere la nuova forma istituzionale a suffragio universale. La questione del voto alle donne fu dibattuta dal Consiglio dei Ministri il 30 gennaio 1945: la maggioranza dei partiti si dichiarò favorevole (contrari liberali, azionisti e repubblicani), ma in un primo momento fu stabilita la sola possibilità di votare e non quella di essere elette. L'eleggibilità fu sancita il 10 marzo 1946 con il decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, che introdusse il suffragio universale, estendendo a tutti i cittadini italiani maggiorenni (21 anni) il diritto di voto e la possibilità di essere eletti dopo il compimento del 25° anno di età. In termini numerici tale innovazione attribuì il diritto di voto al 61,4% della popolazione.

Le donne votarono quindi alle elezioni amministrative del marzo 1946; furono poi chiamate a esprimere la propria preferenza sulla forma di governo – Monarchia o Repubblica – e contestualmente ad eleggere i componenti dell’Assemblea costituente incaricata di redigere la nuova carta costituzionale, alle politiche del 2 giugno 1946.

Dai documenti della Prefettura presenti nella Sezione emergono le preoccupazioni per l'ordine pubblico da parte delle autorità, prima e dopo il voto. Essi riguardano la campagna elettorale, durante la quale i partiti si schierarono a favore della Monarchia o della Repubblica (in mostra Comunicato del Movimento Monarchico dell'Italia liberata del 16 novembre 1945) e le istruzioni diramate prima del voto - il 16 maggio 1946 - per evitare disordini in seguito all'esito del referendum e per impedire atti irriguardosi nei confronti della famiglia reale (Telegramma del Ministro dell'Interno Romita ai Prefetti).

Dopo la chiusura delle urne, alle ore 14 del 3 giugno 1946, quando i voti iniziarono ad affluire al Viminale, l'esito sembrò favorevole alla Monarchia. Poi la situazione si capovolse e il 5 giugno 1946 il ministro Giuseppe Romita proclamò il risultato: 12.182.155 voti a favore della Repubblica e 10.362.709 per la Monarchia.

La famiglia reale contestò l'esito del referendum e, per evitare reazioni incontrollate dell'opinione pubblica, la vittoria della Repubblica fu proclamata solo il 18 giugno. Re Umberto, di fronte al disinteressamento degli Americani ai quali aveva chiesto aiuto, per evitare scontri che avrebbero potuto riportare la guerra civile nel Paese, fece un passo indietro e partì per l'esilio in Portogallo.

Le votazioni per la Costituente videro il successo della Democrazia Cristiana, che ottenne la maggioranza relativa con il 35% dei voti, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e del Partito Comunista Italiano. Le altre forze politiche (Unione Democratica Nazionale, Fronte dell'Uomo Qualunque, Blocco Nazionale della Libertà, Partito Repubblicano Italiano e Partito d'Azione) risultarono nettamente minoritarie. All'Assemblea Costituente furono elette 21 donne.

La mostra espone un telegramma del 28 maggio 1947 nel quale il sottosegretario di Stato della Presidenza del Consiglio dei Ministri Cappa comunica ai Prefetti che il 2 giugno è dichiarato festa nazionale e alcuni documenti nei quali le autorità comunicano le disposizioni relative alle celebrazioni organizzate per la vittoria della Repubblica e in occasione del primo anniversario, durante le quali si registrarono "Nessun incidente et molto entusiasmo" (telegramma 2 giugno 1947).