48 - Esequie di Agostino Forzatura

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28.c.3-Cenotafio.virtù

Il giorno 2 giugno 1662 moriva nella sua casa ubicata nella parrocchia di San Fermo a Padova, Agostino Forzatura cavaliere di Malta e Gran Priore della Lombardia. Era nato nel 1591 da Ermete Forzatura. Assai giovane aveva abbracciato l’ordine Gerosolimitano intraprendendo una fortunata carriera nella “religione”: commendatario dapprima (ante 1648), quindi titolare del priorato della Lombardia dopo aver condotto diverse campagne militari contro i turchi.

28.c.3-capolettera2a scomparsa di un personaggio di tale prestigio non poteva passare sotto silenzio a Padova e meritava di essere solennemente commemorata dalla municipalità con una cerimonia funebre pubblica. I nipoti, figli del fratello Matteo, decisero dunque di allestire un grandioso funerale da tenersi in Santa Maria dei Carmini, chiesa preferita a Sant’Agostino. Secondo la prassi, l’evento si tenne a distanza di alcuni mesi dal fatto luttuoso (intervallo necessario a predisporre l’apparato funebre) nell’aprile del 1663 e fu descritto e raccontato nel libro dal titolo Esequie di Agostino Forzatura curato da Renato Malsucio.

Il volume si compone di una minuziosa relazione dell’evento, un’appendice con alcune orazioni celebrative, ed è corredato dal ritratto a stampa del defunto e da due grandi tavole calcografiche del cenotafio e dell’interno del tempio addobbato per l’occasione (tavola assente nell’esemplare in mostra), tutte firmate da Giacomo Ruffoni.

La relazione si divide in due sezioni: una prima parte descrittiva del ‘teatro’ cioè dell’interno della chiesa trasformato di fatto per la manifestazione, una seconda del cenotafio architettonico con tutte le simbologie in esso celate. La relazione informa che a “drizzare un ornato teatro” sulle pareti dell’edificio religioso furono incaricati “Antonio Minorello architetto, con Venturino Bellante, pittore di prospettiva di non volgare intendimento”, coadiuvati da Giovanni e Giacomo Marzari, padre e figliolo, "maestri legnaioli molto diligenti, tutti Padovani”.

Il Malsucio sottolinea con soddisfazione l’estrazione padovana delle maestranze impiegate nella realizzazione della superba impresa consistente nel sovrapporre alle pareti della chiesa un apparato costituito da statue di prigioni tra i pilastri, finti pilastri, imprese sopra le cappelle e i più classici accessori macabri: drappi neri, scheletri, teorie di arme del defunto e ben 400 candele disseminate per fingere l’illuminazione notturna. Il tutto è messo in opera da maestranze di secondo piano nel panorama artistico locale.

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