Inquadramento storico

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Dalla fine della prima guerra mondiale al Fascismo

Caposaldo del fronte sud dell’Impero Austro-Ungarico e, allo stesso tempo, città irredenta, Trento vede l’entrata delle truppe italiane il 3 novembre 1918. Già il giorno successivo, viene insediato in città un governatore militare, che vede nella figura del generale Guglielmo Pecori Giraldi comandante della I Armata la figura di riferimento, con pieni poteri politici e amministrativi sui territori occupati fino al confine del Brennero. L’occupazione non si prefigge come una fase transitoria, ma si manifesta in tutto e per tutto come un’annessione de facto del territorio Trentino e del Tirolo meridionale. L’annessione viene sancita solamente più tardi, con il  Trattato di Saint-Germain del 10 settembre 1919 e ratificata dalla legge sull’annessione delle nuove provincie emanata il 26 settembre 1920. Trentino e Alto Adige rimangono dunque fortemente connessi nella loro storia, diventando successivamente una Provincia unica con il regio decreto n. 93 il 21 gennaio 1923.

Pecori Giraldi si dimostra uomo capace nella difficile transizione del territorio da austro-ungarico a italiano e nella ricostruzione dello stesso, gravemente provato dagli eventi bellici, riuscendo soprattutto a contenere i tentativi di denazionalizzazione del gruppo etnico tedesco. Il generale rimane in carica fino al luglio del 1919, quando si passa all’amministrazione civile, che vede nella figura di Luigi Credaro il suo commissario straordinario.

I primi focolai del fascismo si avvertono anche nel capoluogo trentino già alla fine della guerra, con l’attività di Alfredo Degasperi e della sua “La Voce Trentina”, che manifesta tutto il suo appoggio alla riunione in piazza San Sepolcro. La prima riunione costitutiva di un Fascio d’Azione a Trento avviene già nel 29 luglio del 1919, ma vede il gruppo sciogliersi già l'8 novembre dello stesso anno per dissidi interni. Il fascismo vero e proprio a Trento nasce l’11 gennaio 1921, con l’assemblea costitutiva del Fascio di Trento presieduta da Achille Starace. Quasi simultaneamente, si verificano i primi episodi di intimidazione e di violenze, sia in Trentino sia in Alto Adige, dove l’aggressività fascista si fa sentire in maniera preponderante nel tentativo di italianizzare la maggioranza tedesca. Bersaglio principale dei fascisti è Credaro, ritenuto troppo conciliante nei confronti sia dell’autonomia della zona altoatesina, sia nei confronti della preservazione dell’identità tedescofila. In regione si tengono nel 1922 le prime elezioni comunali dal 1914 (e anche le uniche fino al secondo dopoguerra in molti comuni trentini)[1]: Viene eletto sindaco a Trento il liberale Giovanni Peterlongo. Il 4 ottobre una mobilitazione fascista occupa Trento, costringendo alle dimissioni Credaro. Il 17 ottobre viene nominato prefetto per la Venezia Tridentina Giuseppe Guadagnini, che si insedia il 3 novembre e rimane in carica fino al dicembre 1926, dimostrandosi fin da subito fascista di provata fede con i suoi tentativi di italianizzazione degli altoatesini e con il suo operato per l’attuazione della legislazione fascista. Egli inoltre contribuisce con efficacia all’esautorazione delle amministrazioni comunali elette nel 1922[2]: Peterlongo lascia il 10 agosto 1923.

Il fascismo in Trentino

Il governo di Guadagnini si contraddistingue per un forte impegno nella fascistizzazione istituzionale della prefettura e delle cariche politiche, a fronte di uno scarso successo del movimento fascista sul territorio. Oltre ad essere prefetto, si occupa della presidenza della commissione per il confino politico, istituita a Trento il 20 novembre 1926, occupandosi fin da subito nel mettere in atto la repressione dei sospetti politici.

E’ soprattutto la sconfitta delle opposizioni di stampo cattolico a lasciare il campo libero al fascismo in Trentino, poiché la loro fine significava “perdere il controllo di quelle istituzioni economiche ed organizzative che costituivano il tessuto connettivo della società trentina degli anni venti e che avevano rappresentato e rappresentavano gli unici strumenti di affrancamento da un’indigenza economica secolare”[3], permettendo così al fascismo di penetrare nella società trentina.

Ma non sono solo le istituzioni ad assumere caratteri fascisti: anche la città di Trento si trasforma per precisa volontà del Partito e dei suoi uomini. E' in particolare il centro di Trento a mutare: “le premesse per uno “sventramento risanatore” nel centro storico risalgono ai primi anni ’20, legate ai problemi della “Nuova estetica di Trento”; tuttavia è solo con la realizzazione del terzo gruppo di case popolari (340 alloggi, 1928-1929) sovradimensionato rispetto alla domanda reale (100 alloggi sfitti nel 1929), che si rende attuabile il progetto di svuotare l’intero malsano del grande isolato delimitato da via S. Pietro, via Roma, via Oriola e via Oss-Mazzurana, creandovi al suo interno una piazzetta contornata da portici”[4]. Per il risanamento del quartiere al “Sass”, considerato fatiscente e focolaio di tubercolosi, interviene anche Roma con il contributo di un milione e mezzo di lire [5]. Questi programmi edilizi vengono istituiti anche in risposta ad un grave ristagno dell’attività edilizia che attraversa il settore negli anni Venti[6].

Gli edifici realizzati in questi anni vedono due diversi tipi di progettazione: una locale, per le case popolari, e una centrale, a Roma, per gli edifici pubblici. Questi interventi si dimostrano dei veri e propri tentativi di annullare la memoria storica della città, in particolare nelle zone dello snodo ferroviario, dove, nel 1936, viene costruita in stile realista una nuova stazione dei treni al posto di quella in stile imperiale e, al suo fianco, la Casa Balilla, sull'area dell'ex convento di S. Lorenzo. Il progetto della stazione viene creato dall'ingegner Mazzoni, lo stesso che si occupò anche dell'edificio delle poste centrali in via Calepina, con cui era andato a modificare interamente il preesistente palazzo austriaco ed il cinquecentesco Palazzo a Prato. Vengono inoltre realizzati il cavalcavia nei pressi del ponte di S. Lorenzo, la scuola “Sanzio”, la Casa del Fascio, il cinema teatro Littorio in piazza Silvio Pellico e il Gran Hotel Trento in piazza Dante. Nel frattempo la città cresce anche nel numero di abitanti, anche se non come aveva progettato e auspicato l'autorità fascista: secondo i dati INSTAT la popolazione residente nel Comune di Trento raggiunge nel 1931 54.370 unità, in dieci anni è cresciuta di 4.000; al 1936 si raggiungono le 56.017 unità, mentre nel 1942, 62.195[7]. In quegli anni si assiste quindi ad un riassetto istituzionale e urbanistico della zona. Roma decide però di investire soprattutto su Bolzano (e sulla sua italianizzazione) con un declassamento per la città di Trento, nonostante precedenti politiche di potenziamento della città a discapito di Rovereto, che si vede svuotata di competenze e di uffici pubblici. La concentrazione delle risorse economiche del regime e l'industrializzazione sono tutte votate a Bolzano, nel tentativo di italianizzarne la provincia e la popolazione, ma soprattutto per dare importanza politica ad una città diventata anche sede di un comando di divisione del regio esercito. Nonostante il tentativo di negare nei primi quattro anni di governo, l'esistenza di due distinte realtà, una trentina e una altoatesina[8], alla fine questa distinzione, anche amministrativa, viene sancita il 2 gennaio 1927 con il regio decreto n. 1 che suddivide il territorio in due province distinte. A questa riforma se ne aggiunge un’altra nel luglio 1928 che prevede la sostituzione del consiglio provinciale con un rettorato di nomina reale con a capo il preside della provincia con sedute non pubbliche[9].

Così come è avvenuto per il centro, anche la periferia di Trento muta radicalmente nel corso del Ventennio. Sorgono infatti nuovi complessi industriali, quali l'Italcementi, la STEM (Società Trentina Elettromeccanica), la Michelin, la SLOI (Società di Lavorazioni Organiche e Inorganiche), l'industria aeronautica Caproni, l'OET (Officine Elettrochimiche Trentine), la Prada e la Galtarossa.

La costruzione dei complessi industriali si inserisce nei tentativi di fornire settori occupazionali e dare linfa all’economia del territorio. Il quadro economico-sociale del Trentino, almeno fino alla fine di tutti gli anni Venti, rimane infatti ancora profondamente colpito dagli eventi bellici della Prima guerra mondiale. Il settore agricolo è quello che ha risentito maggiormente degli effetti della guerra ed è il settore in cui la maggior parte della popolazione trova reddito ed occupazione; in particolare lo spostamento dei traffici dovuti alla riscrittura dei confini europei, con uno spostamento del commercio dall’Europa centrale all’Italia, crea difficoltà per la presenza di una vasta concorrenza. Vi è inoltre una concentrazione eccessiva della popolazione sulla superficie agraria, aggravata da una forte disoccupazione dovuta alla quasi totale impossibilità di emigrare verso il nuovo mondo, come invece avveniva in passato. Anche la pastorizia registra una forte flessione, ma è la bachicoltura ad avviarsi verso una crisi insanabile. L’indigenza non è più una rarità nelle comunità agricole montane del trentino. Dal punto di vista industriale, si assiste ad un sostanziale ristagno di iniziativa dovuto alla conformazione montuosa del territorio e dalla sua lontananza da grandi centri industriali. Un altro grave problema economico è la pesante decurtazione dei risparmi dovuta al cambio della moneta dalla Corona austro-ungarica alla Lira. Tutti e tre i settori attraversano quindi grosse difficoltà. La crisi del 1929 non fa altro che accentuare le difficoltà economiche e il malcontento della popolazione. La stagnazione, se non addirittura la flessione, dell’economia trentina prosegue anche negli anni Trenta, con la novità della flessione anche del movimento turistico, dovuto in modo particolare alla minor affluenza degli stranieri.

Gli effetti di questa protratta e grave stagnazione economica sfociano in un aumento importante della disoccupazione. Ma sono anche le condizioni sanitarie ed igieniche a destare preoccupazioni: alta rimane la mortalità infantile e si registrano ancora numerosi casi di decesso per tubercolosi. Il biennio 1931-1932 costituisce uno dei punti più bassi per la demografia di quegli anni, con un sostanziale fallimento delle politiche demografiche fasciste di fronte ad una situazione di miseria se non di indigenza in alcune zone del territorio trentino[10]. Di fronte a queste numerose problematiche economiche e sociali, l'intervento dell'autorità pubblica rimane frammentato ed insufficiente.

Non c'è da stupirsi allora se, nonostante i numerosi sforzi il fascismo rimane in Trentino un fenomeno piuttosto marginale. I fascisti del luogo, o quantomeno quelli in visita, lamentano una scarsa presenza del partito nelle organizzazioni, soprattutto in quelle economiche, ed in particolare la aderenza è da ricercarsi nell'influenza della chiesa, dominatrice incontrastata della mentalità valligiana. Non mancano infatti nelle relazioni da Trento inviate a Roma, dubbi e perplessità sull’atteggiamento del clero e sulla presunta opposizione da esso svolta per contrastare il fascismo.  Se il terreno poteva essere fertile anche in Trentino per il fiorire del movimento fascista, vista la diffusione di quei sentimenti di stanchezza e di volontà di cambiamento tipici degli anni del dopoguerra, il fascismo non riesce quindi ad ottenere quella presa psicologica che ha altrove poiché il movimento viene sentito come un qualcosa importato da altre zone e presenta troppe incognite sulle ripercussioni che può avere sulla gestione delle questioni economiche[11]. Sono perciò numerosi i tentativi di consolidamento dell’ideologia fascista nei confronti degli organismi sindacali, giovanili e del tempo libero, ma rimane sempre una penetrazione ottenuta con la forza a cui la chiesa cerca di garantire assistenza religiosa nel tentativo di controbilanciare[12]. Anche l'avvicendarsi dei dirigenti locali sembrano dei tentativi di cambiamento e di ripartenza nella speranza di ottenere finalmente successo politico sul territorio, a riprova del fatto che il fascismo trentino era nato da una minoranza risicata di popolazione e che al suo stesso interno il partito subiva periodicamente crisi morali ed organizzative. Una situazione politico-amministrativa così negativa e disorganizzata contrasta con “una tradizione di efficienza e democrazia di base propria della regione”[13]. Nonostante la crisi economica che il territorio subisce in quegli anni e un partito fascista locale disorganizzato e di poco successo, dal 1932 al 1935 si intensifica l'opera di inquadramento nelle organizzazioni fasciste e di mobilitazione al consenso al regime, che culminano con la grande adunata in piazza Duomo (allora piazza Vittorio Emanuele III) alla presenza del Duce in occasione della conquista d'Etiopia nel 1935[14]. Una sempre più capillare presenza del fascismo nella società trentina non si traduce però in un'adesione di massa entusiasta come avveniva in altre zone d'Italia.

Il 1935 segna anche l'inizio dell'autarchia, in conseguenza all'aggressione italiana all'Etiopia. In Trentino questa nuova situazione porta all'aggravarsi della già difficile situazione economica locale. Si chiudono infatti gli scambi commerciali con l'estero, base portante dell'economia trentina. Anche la realizzazione di quella zona industriale che ha invece ottenuto Bolzano rimane un'utopia: nonostante i vari tentativi della autorità locali, che si protraggono per tutti gli anni Trenta, essa non viene mai realizzata secondo le aspettative. Dopo i primi affanni, in generale, a partire dal 1936 inizia una ripresa economica anche se lenta e incapace di offrire nell'immediato, benefici alla popolazione[15]. In quel periodo si concentrano tre fattori che contribuiscono a rendere la situazione complicata: si inasprisce la pressione fiscale, si susseguono una serie di stagioni sfavorevoli per l'agricoltura e i guadagni ricavati dalla vendita dei prodotti montani sono scarsi[16].

Nel 1938 anche in Trentino, con l'introduzione delle leggi razziali, iniziano le discriminazioni nei confronti degli ebrei, che si protraggono, in maniera più o meno blanda, fino all'entrata in guerra. La questione razziale non lascia del tutto indifferenti le istituzioni cattoliche, che condannano apertamente le leggi sul quotidiano vescovile “Vita Trentina”[17].

Ma è un'altra la questione che in quel periodo interessa maggiormente i trentini ed in special modo, gli altoatesini: la legge sulle opzioni. In seguito alla nuova alleanza con la Germania di Hitler, vengono promulgate le norme del 21 ottobre 1939 che prevedono il trasferimento volontario degli allogeni tedeschi dall'Alto Adige, ma anche dal Trentino, in Germania. E' una sconfitta bruciante per il fascismo, dopo anni di tentativi di italianizzazione, a volte anche brutale, del territorio sudtirolese. Un'italianizzazione che si è intensificata soprattutto a partire dal 1933, a seguito della salita al potere di Hitler, che vede una ripresa del movimento tedescofilo in favore del ricongiungimento del territorio sud tirolese con i paesi tedeschi, e che favorisce un atteggiamento antitaliano sfociato poi in un'adesione di massa in occasione delle opzioni. Ed è un fallimento per la politica fascista per due ragioni principali: innanzitutto per l'alta percentuale di optanti ed in secondo luogo per la pochezza della macchina burocratica italiana in confronto a quella tedesca efficientissima. Il regime tenta di arginare il problema proponendo un'operazione di ri-colonizzazione dell'Alto Adige, ma solo 43 famiglie si trasferirono effettivamente.

Poco soddisfacente è anche la mobilitazione militare e civile con lo scoppio della guerra, sia perché si sente l'alleanza con la Germania come un tradimento dell'irredentismo, sia perché la mobilitazione femminile nel lavoro è poco incentivata. Sempre “Vita Trentina” è portavoce del malcontento della chiesa per la guerra imminente. La guerra è l'inizio della fine del fascismo, in primis rinnegato proprio dalle associazioni dei giovani fascisti e poi perché fucina di malcontento per gli alpini, mandati a morire sul fronte orientale. Nascono così atteggiamenti di opposizione fra la popolazione, non di vero e proprio antifascismo, ma di risentimento per le difficoltà della guerra, per le morti e i bombardamenti. Le condizioni di vita infatti, già difficili prima dell'inizio della guerra, peggiorano notevolmente con l'avanzare del conflitto: razionamenti, penuria di beni e requisizioni di oggetti in metallo sono all'ordine del giorno. Ma è solo nel 1942 che si iniziano a vedere i primi timidi momenti di associazionismo antifascista, nelle figure di Pasi per i comunisti, di Manci per i socialisti-repubblicani e di Degasperi per i cattolici.

L'esautorazione di Mussolini alla seduta del Gran Consiglio del 25 luglio del 1943 è accolta con manifestazioni di esultanza a Trento. Dopo aver danneggiato le sedi dei fasci locali, in particolare la sede della GIL affianco alla stazione, vengono cambiati i nomi fascisti ad alcune vie e vengono rimossi i quadri del duce dalle pareti. Anche se sono episodi poco violenti e di poco conto, il prefetto Foschi preferisce allontanarsi da Trento e rifugiarsi a Molveno. Questo non gli impedisce di nominare il liberale Gino Marzari nuovo direttore per il quotidiano fascista “Il Brennero”, in linea con le prime, timide esautorazioni operate da Badoglio.

Nel frattempo dal Brennero inizia l'occupazione silenziosa tedesca. Le truppe germaniche con il passare delle settimane, si comportano da padroni assoluti del territorio[18]. La situazione è ambigua: i tedeschi sono presenti sul territorio, ma le disposizioni inviate ai giornali e alle autorità militari della zona sono mirate a non creare allarmismi, mentre gli avvisi sul transito delle truppe germaniche rimangono inascoltate a Roma[19].

In questa situazione incerta, la popolazione, già provata dalla guerra, è duramente colpita il 2 settembre 1943 con il primo, devastante bombardamento di Trento. L'impatto psicologico è ancora più grande poiché la città è completamente impreparata a difendersi dai bombardamenti. Con l'attacco del 2 settembre inizia anche per Trento la stagione dei bombardamenti, che si protrarrà fino al 3 maggio 1945 con 80 incursioni aeree, 1792 edifici danneggiati e più di 400 vittime[20].

L'armistizio e l'Alpenvorland

Con l'armistizio dell'8 settembre del 1943 anche in Trentino inizia una nuova, drammatica fase. Già durante la notte i tedeschi occupano i punti nevralgici della città e delle valli, prendendo con la forza le caserme e stroncando ogni resistenza. I soldati vengono fatti prigionieri e avviati al campo aeronautico di Gardolo prima di essere internati in Germania. Il prefetto Foschi ritorna a Trento il 16 settembre, convinto di poter restaurare l'autorità fascista. Ma i piani tedeschi per il territorio sono altri. Il 10 settembre Hitler proclama le Operationszonen Alpenvorland und Adriatisches Küstenland, per cui le due nuove zone di occupazione (le attuali province di Trento, Bolzano e Belluno per l'Alpenvorland e le province di Gorizia, Udine, Trieste, Fiume, Pola, Lubiana per l'Adriatisches Küstenland) entrano a far parte del Reich e dipendono direttamente dal Führer, ma la loro amministrazione è affidata ai Gauleiter (in origine il capo di una sezione locale dell'NSDAP, divenuto in seguito anche il capo di una suddivisione amministrativa dello stato). Alla Casa Littoria di piazza Venezia si insedia il comando tedesco e sul pennone sventola la bandiera nazista.

Con l'allontanamento del prefetto Foschi a Belluno, Hofer pone la parola fine all'esperienza fascista e all'influenza del fascismo in regione. Non ci saranno infatti relazioni fra il Trentino – Alto Adige e la RSI e non verrà ricostituito in regione il partito fascista. Il 17 settembre 1943 Hofer convoca una riunione alla Banca di Trento e Bolzano, a cui vengono invitati i personaggi più influenti del Trentino (tra cui anche Giannantonio Manci ed Egidio Bacchi), uomini indicati poche ore prima da Foschi come persone da arrestare perché invise al fascismo. La riunione è per Hofer l'occasione di mettere in atto il suo gioco politico: promettendo autonomia e poca pressione militare da parte dei tedeschi, il Gauleiter chiede in cambio piena collaborazione e disciplina; tra le misure di garanzia autonomistica, propone la nomina di un nuovo prefetto scelto dai rappresentanti di quella riunione. I partecipanti indicano la figura dell'avvocato Adolfo de Bertolini come la persona più indicata per il ruolo: commissario amministrativo di Trento durante l'Impero austro-ungarico, amministratore bancario e figura di spicco della politica tridentina, de Bertolini venne scelto perché figura notoriamente onesta e poco compromessa con il fascismo, nel tentativo di arginare i possibili danni dell'occupazione tedesca.

L'Alpenvorland si configura quindi come una zona complessa, sia dal punto di vista politico, sia da quello militare ed amministrativo. De Bertolini è a capo di un territorio occupato militarmente, di fatto annesso al Reich ma non in maniera ufficiale, che mantiene però anche apparati statali e militari italiani (i carabinieri rimangono sul territorio). Funzionari pubblici e amministratori vengono sostituiti dal Gauleiter o Commissario supremo. Si tenta anche di sostituire la lira con un'altra valuta, ma il tentativo viene poi accantonato[21]. Il territorio, già duramente provato dagli eventi bellici, si accinge quindi a subire anche una dispendiosa occupazione in termini di risorse, nonostante la produzione industriale, le istituzioni locali e la scuola, vengano in realtà in parte salvate dal controllo degli occupanti[22]. La situazione del Trentino è profondamente contraddittoria: da un lato vi è un prefetto che tenta di “salvare il salvabile”, dall'altro Hofer con un reale potere decisionale. Quest'ultimo si farà in particolare promotore di una politica intransigente e dura nei confronti degli oppositori i presunti tali e aumenterà il controllo sulla popolazione anche attraverso la creazione di strumenti appositi, come con l'istituzione, il 6 novembre del 1943, del Corpo di Sicurezza Trentino (CST), adibito sì a funzioni di polizia locale, ma anche strumento di lotta ai partigiani sia dentro che fuori dalla provincia. Chi nel 1943 compiva i diciotto o i diciannove anni era chiamato al servizio in guerra da un'ordinanza del Commissario supremo, con la possibilità di  scegliere se arruolarsi nel CST, nella polizia, nelle SS, nella Wehrmacht, nella TODT (l'organizzazione del lavoro i cui membri venivano impiegati per ripristinare le varie infrastrutture danneggiate dagli eventi bellici, in particolare strade, ponti e ferrovie) o, infine, nella milizia repubblichina, scelta però fortemente scoraggiata dalle autorità tedesche.

Nello stesso mese di settembre iniziano a muoversi anche i movimenti di resistenza: Manci forma il primo nucleo del CLN. L'apparato poliziesco messo in piedi dai nazisti in regione mette in difficoltà più volte il movimento della resistenza, costringendone i membri superstiti a ripartire da zero dopo ogni retata. Particolarmente efferata e grave è la serie di arresti del 28 giugno 1944 nel Basso Sarca e a Rovereto, in cui viene arrestato lo stesso Manci. Undici le persone uccise durante gli arresti, due quelle fucilate a Bolzano in seguito alla condanna subita dal Tribunale speciale, numerosi quelli che rimarranno in carcere fino alla liberazione. Manci si suiciderà per evitare di tradire i compagni sotto tortura.

La resistenza armata, attiva soprattutto nelle zone di confine della regione, non è l'unica forma di resistenza: si registrano anche forme di “resistenza civile” o “assistenziale”. E' in particolare il mondo cattolico a manifestare questo tipo di opposizione, attraverso forme di appoggio ai militari italiani sbandati, ai partigiani in lotta, agli ebrei in fuga o attraverso la propaganda contro la guerra[23].

Rimangono però casi isolati queste forme di resistenza, perché in Trentino, così come era avvenuto per il fascismo, il fenomeno non prese mai veramente piede. Le ragioni sono molteplici, ma fra tutte spicca il tentativo della popolazione e degli esponenti politici civili e religiosi di conciliare la normale vita con l'occupazione tedesco, prendendo molto seriamente il proclama di collaborazione di de Bertolini e le direttive di Hofer. A dimostrazione di questa tesi ci sono i timori legati alle frequenti rappresaglie messe in atto dai reparti nazisti nei confronti della popolazione civile in seguito alle azioni militari intraprese dai partigiani.

Anche l'azione politica di de Bertolini continua, fino agli ultimi giorni dell'Alpenvorland, nel tentativo di fare conciliare la presenza tedesca e la popolazione.  D'altra parte però la popolazione inizia a soffrire la presenza tedesca, sempre più prepotente con il passare del tempo e l'avvicinarsi della fine della guerra, esasperata anche dai continui e pressanti bombardamenti alleati particolarmente intensi negli ultimi mesi di guerra del 1945.

La liberazione arriva tardi in Trentino. Solo il 4 maggio gli alleati entrano a Trento. L'esercito tedesco in rotta continua ad attraversare il territorio della valle dell'Adige, che per tutto il 1945 conosce bombardamenti senza sosta nel tentativo di tagliare le vie di comunicazione e le strade ai tedeschi in ritirata. Non mancano le imboscate da parte dei partigiani che provocano, a guerra già conclusa, la reazione dei tedeschi nei paesi di Stramentizzo, Molina e Ziano di Fiemme dove ne bruciarono le case e uccisero 43 persone.

Il dopoguerra

Già nella giornata successiva all’entrata in città delle truppe, Trento passa sotto l’AMGOT, l’Allied Military Government of Occupied Territories, un organo militare alleato designato all’amministrazione dei territori occupati durante la seconda guerra mondiale.

L’AMGOT, anche detto AMG, in Italia dipendedal quartier generale alleato del Mediterraneo e operò fino al 31 dicembre 1945. Obiettivo è quello di garantire una continuità nell’amministrazione nella delicata fase di passaggio fra il governo precedente e quello legittimo eletto dal popolo che sarebbe venuto.

Nei primi giorni di Trento liberata, inizia l’organizzazione del CLN per il controllo amministrativo della provincia. L’AMG e le sue autorità avvallano questa presa di potere, nel tentativo di creare una collaborazione vicendevole per la ricostruzione della vita civile del territorio. Questa collaborazione si rivela ben presto infruttuosa a causa di una forte divergenza di opinione circa l’affidamento delle cariche politiche. Mentre gli Alleati tendono a confermare figure già in carica nella precedente amministrazione, i CLN auspicano una maggiore rottura con il passato, attraverso la nomina di membri interni[24]. Non mancano i dissidi interni ai vari CLN, con addirittura la fuoriuscita dei rappresentanti DC nel febbraio 1946. La situazione politica trentina è in fermento: nell’agosto 1945 nasce l’ASAR (Associazione Studi per l’Autonomia Regionale), un movimento indipendentista che punta ad un’autonomia di tipo regionale per il Trentino – Alto Adige. Il movimento ha successo nella popolazione, nonostante sia duramente contrastato dagli altri partiti per le sue tendenze separatiste.

La vita socio-economica trentina alla fine della guerra risente duramente degli effetti del conflitto. La situazione economica e alimentare è allarmante ed è definita anche “di molto peggiore a quella degli anni più oscuri della guerra”[25]. La guerra ha seriamente danneggiato la città di Trento ed il territorio; la ricostruzione è difficile, poiché partiti e alleati la avviano in maniera piuttosto empirica[26]. È il mondo rurale trentino a essere quello meno colpito dai risvolti economici disastrosi della guerra, grazie al mercato nero e alla piccola proprietà.

Archiviata la fase dell’AMG, l’Italia ed il Trentino si trovano di fronte ad una nuova fese istituzionale. Già dal 4 giugno 1944, dopo la liberazione di Roma, il re Vittorio Emanuele III aveva nominato il figlio Umberto II Luogotenente generale del Regno sulla base della firma del precedente patto di Salerno tra le varie forze politiche del CLN e la monarchia stessa, in modo da posticipare la questione istituzionale italiana al termine del conflitto. La luogotenenza rimane in auge fino al 9 maggio 1946 quando, in vista dell'avvicinarsi della risoluzione della questione istituzionale tramite il referendum del 2 giugno, il re Vittorio Emanuele III decide di abdicare in favore del figlio. In Trentino la popolazione si esprime decisamente in favore della Repubblica, con quasi l’85% delle preferenze. Anche nelle elezioni per l’Assemblea costituente i trentini si dimostrano compatti: la DC ottiene oltre il 57% dei voti.

Oltre al determinarsi di una nuova e profondamente mutata situazione politico istituzionale, la neonata Repubblica Italiana ha da fare i conti soprattutto con i problemi legati alla ricostruzione. Il danno globale è calcolato in 3.200 miliardi di lire[27], con gravi danni alle industrie, in particolari quelle siderurgiche, alla produzione agricola e ai trasporti.

In Trentino, a seguito dell’entrata delle truppe americane, i CLN distribuiscono gli incarichi istituzionali: Prefetto diventa Giuseppe Ottolini, sindaco Luigi Battisti, questore Ivo Perini. Il 2 giugno l’85% dei trentini vota a favore della repubblica e alle elezioni amministrative, la Democrazia Cristiana ottiene la maggioranza.



[1] F. Rasera, Dal regime provvisorio al regime fascista (1919-1937), in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 79.

[2] F. Rasera, Dal regime provvisorio al regime fascista (1919-1937), in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 93.

[3] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940), in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 114.

[4] R. Bocchi, C. Oradini, Le città nella storia d’Italia. Trento, Bari, Laterza, 1983, p. 198.

[5] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940), in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 356.

[6] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940), in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 198.

[7] G. Ferrandi, Diario di una città. Gli anni '40 a Trento, Trento, Curcu & Genovese, 2005, p. 22.

[8] V. Calì, Lo stato liberale e l'avvento del fascismo (1918-1926), in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 78.

[9] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940), in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 128.

[10] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940),  in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 299.

[11] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940),  in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 136.

[12] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940),  in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 226.

[13] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940),  in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 195.

[14] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940),  in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 346.

[15] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940),  in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 453.

[16] P. Piccoli, Lo stato totalitario (1927-1940),  in Storia del Trentino contemporaneo: dall’annessione all’autonomia, vol. I, a cura di O. Barié, Trento, Verifiche, 1978, p. 469.

[17] A. Vadagnini, Dai venti di guerra alla ricostruzione (1938-1948),  in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 134.

[18] A. Vadagnini, Dai venti di guerra alla ricostruzione (1938-1948),  in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 142.

[19] A. Vadagnini, Dai venti di guerra alla ricostruzione (1938-1948),  in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 142.

[20] P. Marchesoni, D. Leoni (a cura di), Le ali maligne, le meridiane di morte. Trento 1943-1945. I bombardamenti, Trento, Temi-Museo storico in Trento, 1995, pp. 35-36.

[21] P. Agostini, C. Romeo, Trentino e Alto Adige province del Reich, Trento, Temi, 1975, p. 59.

[22] A. Vadagnini, Dai venti di guerra alla ricostruzione (1938-1948),  in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 146.

[23] A. Vadagnini, Dai venti di guerra alla ricostruzione (1938-1948),  in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 149.

[24] A. Vadagnini, Dai venti di guerra alla ricostruzione (1938-1948),  in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 150.

[25] P. Barucci, La politica economica internazionale e le scelte di politica economica dell’Italia (1954-1974), “Rassegna economica”, n. 3, 1973, p. 704.

[26] A. Vadagnini, Dai venti di guerra alla ricostruzione (1938-1948),  in Storia del Trentino, vol. VI, L’età contemporanea. Il Novecento, a cura di A. Leonardi, P. Pombeni, Bologna, il Mulino, 2005, p. 153.

[27] P. Saraceno, La ricostruzione industriale italiana, “Critica economica”, n. 6, 1947, p. 11.