Nell'orbita della metafisica e dei maestri bolognesi: Roberto Longhi, Giorgio Morandi e Giuseppe Raimondi

Il 1933 fu un anno indimenticabile per la storia dell’arte ferrarese: venne infatti inaugurata a Palazzo dei Diamanti la storica “Esposizione della Pittura ferrarese del Rinascimento”. Bassani frequentava l’ultimo anno del Liceo e il preside aveva ottenuto la gratuità alla mostra per tutti gli studenti prossimi all’esame finale. Inoltre, il professore di storia dell’arte di Bassani faceva parte del comitato organizzativo della mostra. Bassani quindi quasi indubbiamente visitò l’esposizione.

Ci fu anche un altro visitatore d’eccezione, a cui quella mostra lasciò un’impressione feconda e vivissima: Roberto Longhi, che subito dopo scrisse il suo insuperato Officina ferrarese. Quando nel 1935 Arcangeli condusse per la prima volta Bassani alle lezioni universitarie di Longhi, non poteva quindi non avvenire un incontro perfetto. Bassani era affascinato dal metodo di quello che chiamerà nel titolo di un saggio a lui dedicato Un vero maestro (1955), dalla sua capacità di inserire l’opera d’arte in un contesto descrivendola anche in termini narrativi di alta fattura, e dal sapere suscitare negli allievi un interesse critico e non convenzionale verso le arti. Nell’a.a. 1934/35, Longhi tenne proprio un corso sulla pittura del Trecento nell’Italia settentrionale, dando ampio spazio ai bolognesi, Vitale e Andrea da Bologna in primis. Fino all’a.a. 1937/38, in cui Bassani concluse i suoi studi, Longhi continuò ad approfondire la pittura del Tre-Quattrocento. In questo modo, la pittura bolognese e quella ferrarese, per il tramite del maestro Longhi, si saldarono nell’immaginario di Bassani, unendo anche le due città che erano care alla sua storia: Bologna e Ferrara. Ciò avrà un peso notevole nell’ispirazione poetica.

Grazie a Longhi e a Giuseppe Raimondi, Bassani e i suoi amici conobbero anche Giorgio Morandi e, nell’orbita della sua pittura, le nuove sperimentazioni artistiche, ben rappresentate da de Pisis. Bassani sottolinea il rapporto osmotico che si crea tra la sua poetica e la pittura di Morandi scegliendo spesso come copertine dei suoi libri stampe tratte da opere morandiane: la «metafisica delle cose quotidiane», termine che nel 1921 de Chirico applicò a Morandi, è la stessa che viene filtrata da Bassani attraverso lo schermo della storia e della memoria, che colpisce gli oggetti a cui spesso è demandato l’importante compito di raccontare la storia.

Il nome di Morandi non può essere separato da quello di Giuseppe Raimondi, perché Morandi e Raimondi costituiscono le due anime di quella Bologna che ha formato alcuni tra i maggiori intellettuali italiani del Secondo Dopoguerra. Bassani, Rinaldi, Arcangeli, Pasolini conoscevano bene il negozio di stufe di Raimondi, un letterato, critico d’arte, collezionista, esperto di letteratura francese. E Raimondi divenne importante anche per i giovani artisti, che continuarono a scrivergli anche dopo la guerra, una volta lasciata Bologna, vedendo in lui un aiuto e una personalità aggregante.

Raimondi rappresentò quindi per Bassani un tassello cardine della sua formazione e il ritratto vivo e incarnato della «scuola letteraria bolognese», di quei «vecchi letterati bolognesi» di cui lui e i suoi amici volevano e dovevano partire per trovare la loro strada: «La Bologna che ho frequentato io, dall'autunno del '34 fino, diciamo, al '43, non era soltanto la sede dell'Università, della Facoltà di Lettere alla quale mi ero iscritto, ma anche la sede di una letteratura, di una scuola letteraria. Bologna voleva dire Riccardo Bacchelli, voleva dire Leo Longanesi, che proprio a Bologna aveva diretto per anni «L'Italiano», una rivista ideologicamente molto vicina al fascismo, anzi fascista addirittura, pur se di un tipo di fascismo non novecentesco, non legato all'avanguardia novecentesca europea, voleva dire Giuseppe Raimondi, voleva dire Giorgio Morandi. Ebbene, non c'era dubbio: la scuola letteraria bolognese, soprattutto tramite il rapporto che propugnava con i classici francesi del secondo Ottocento, Flaubert, Renard, Maupassant, Zola, eccetera, ha sicuramente influito sulla mia formazione. Scettici, elegantemente cinici, orgogliosamente provinciali e formalisti, i vecchi letterati bolognesi mi hanno senza dubbio insegnato qualcosa» (G. Bassani, In risposta (V), p. 1317).